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OMBRE ROSSE - NIRVANA
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     CAST


Bruno Armando, Adriana Asti, Flavio Bonacci, Giulio Brogi, Flavio Bucci, Antonio Catania, Maria Consagra, Branca De Camargo, Orsetta de’ Rossi, Ennio Fantastichini, Ivano Marescotti, Luis Molteni, Maria Monti, Luigi Montini, Elena Sofia Ricci, Michel Rocher, Fabrizia Sacchi, Renato Sarti, Monica Scattini, Maurizio Trombini


     PREMI

 

 


     RECENSIONI


Era molto tempo che non si vedeva un film di Kiko Stella, cineasta indipendente attivo a Milano negli anni '80 e vincitore, con Rosso di sera, del Festival di Bellaria e del premio Filmaker. Negli ultimi anni Stella ha lavorato per la pubblicità e la televisione, realizzato video, prodotto film altrui. Poi gli è venuta la voglia di tornare al lungometraggio è il risultato è un film corale, ispirato ai racconti della psicologa Marina Mizzau e intitolato, con simpatica leggerezza, Come si fa un Martini (da oggi nelle sale, a Milano al Brera 2). Come si debba effettivamente preparare il celebre cocktail lo spettatore non lo saprà mai; in compenso, apprenderà molte cose sulle persone che, nella stessa sera, cenano al ristorante Blue. Il principio compositivo è lo stesso della Cena di Ettore Scola: a turno, la cinepresa visita i diversi tavoli raccontandoci frammenti delle storie private dei commensali, poi li lascia per dedicare l'attenzione ad altri e li riprende più tardi. L'ottimo cast anima un paradigma di personaggi variamente esemplari della fauna umana di una metropoli odierna.
Ci sono Elena Sofia Ricci, moglie infedele di Ivano Marescotti, a cena col marito, l'amante (Flavio Bonacci) e la consorte di questi (Monica Scattini); Ennio Fantastichini, che fa il musicista e siede al tavolo col vecchio padre intrattabile, interpretato da Giulio Brogi; un gruppo di intellettuali di cui fanno parte Flavio Bucci e Maria Monti; Antonio Catania in crisi con la sua ragazza e deciso e spillare soldi alla mamma Adriana Asti; Fabrizia Sacchi, donna insicura totalmente dipendente dal compagno; una coppia di impiegati timidi, che non riescono a dichiararsi reciprocamente; col contorno, s'intende, di caposala, barman, camerieri. Stella sa come si fa un cocktail cinematografico e sceglie il giusto dosaggio d'ingredienti. Il regista si muove nello spazio chiuso del ristorante, dove ha luogo quasi tutta l'azione, montando con cura le var!ie sequenze in modo da mantenere vivo l'interesse dello spettatore per ciascun personaggio. Le sortite dall'interno del locale si limitano al prologo e a qualche falshback. Anche se Come si fa un Martini è stato girato interamente a Milano, insomma, le immagini della città si limitano a poche inquadrature di raccordo; senza offrire boccate d'aria ai "caratteri", che il film preferisce mantenere all'interno dei loro piccoli, tragicomici inferni privati.
Roberto Nepoti - La Repubblica 

Nella pacifica, ma sempre abnorme invasione dei nuovi film post Ferragosto, tra 14 prime visioni alla mercé degli effetti speciali, c’è anche una produzione indipendente, girata a Milano, che non ha alle spalle potenti distribuzioni ma che merita di esser vista perché è un bel ritratto di molte solitudini ben organizzate. Come si fa un Martini , oggi al Brera, è diretto dal video-filmaker milanese Kiko Stella, interpretato da venti bravi attori di provenienza anche teatrale cittadina, con pochi «infiltrati», da Catania a Bucci, da Sofia Ricci alla Scattini, da Marescotti a Fantastichini, da Bonacci a Brogi, dalla Monti a Sarti, dalla Asti alla Bergamasco. Si rievoca così, senza pudori e nostalgia, la cinica e corrotta Milano da bere anni ’80. Un film, per dirla seria, di antropologia culturale: odii e amori, rancori e rimorsi, illusioni e delusioni, incrociati tra loro, alla Altman. Dice Stella: «E’ una piccola storia tratta da Come i delfini di Marina Mizzau, un libro Bompiani segnalato da Eco in una Bustina di Minerva dell’88. Ce ne abbiamo messo del tempo per arrivare al film finito: da due anni siamo in lista di attesa e ora contiamo sui distributori regionali». Come si fa un Martini è la domanda che fanno gli avventori del ristorante, citando Hemingway e un James Bond d’annata ( La spia che mi amava , ’77). Molte sono le ricette del cocktail, altrettanti i modi per shakerare la vita, il lavoro, gli affetti. Stella non usa metafore, sospende il giudizio finale, ma aggiunge un classico cinese: «Quando un dito indica la luna, lo stolto guarda il dito». Crisi di valori, riflusso di ideologie, mancanza di certezze, usi e costumi di una città che ha vissuto profonde crisi.
Maurizio Porro - Il Corriere della Sera


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