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     CAST


Esther Gorintin, Dinara Droukarova, Nino Khomassouridze
 


     PREMI

Festival International du Film, Cannes 2003

Vincitore della Semaine Internationale de la Critique


     RECENSIONI


Giovane regista francese al primo lungometraggio, ma con provata esperienza nella produzione documentaristica, Julie Bertuccelli esordisce e fa subito centro: Da quando Otar è partito… è pellicola di pregevolissima fattura, impegnativa, profonda e senza smagliatura alcuna, condotta con rigore dall’inizio alla fine, tanto da guadagnare il Grand Prix de la Seimane de la Critique a Cannes 2003.
Meritato, diciamo noi, visto che il film ha molte frecce al proprio arco: un soggetto interessante che unisce più chiavi di lettura (le vicende dei singoli e quelle sociali), approfondito con minuziosa sapienza, tre protagoniste ottime, ambientazione di grande fascino ed una puntuale fotografia plumbea, per un’opera girata quasi al lume di candela.
Scritto a quattro mani dalla Bertuccelli con Bernard Renucci, il film racconta la storia di tre donne, figlia, madre e nonna, nella Tbilisi dei nostri giorni, capitale affascinante e malandata della Georgia post-sovietica. La caduta del regime ha prodotto schianti fragorosi fin dentro le coscienze, le famiglie hanno dovuto imparare a governare una libertà che assomiglia molto all’abbandono: vacillanti le istituzioni (tragica attualità), il microcosmo casalingo diventa baluardo da difendere il più possibile.
Così avviene nella casa di Ada (Dinara Droukarova) giovane venticinquenne, della madre Marina (Nino Khomassouridze) e della nonna Eka (Esther Gorintin): l’impostazione matriarcale più che una scelta è una necessità, se non sono morti, gli uomini sono lontani; come Otar, fratello di Marina e figlio prediletto dell’anziana Eka.
Perché nel vecchio appartamento, nel precario equilibrio d’umore tra le abitanti, le sole notizie che portano una ventata di speranza e freschezza provengono proprio da Otar, emigrato a Parigi: l’ostinata Eka sussulta ogni qual volta squilla il telefono, si commuove alla lettura delle sue brevi missive, impreziosisce i racconti con le proprie suggestioni e vive di luce riflessa la vita del figlio lontano.
Il fatto che poi la Francia fosse da sempre nel destino della famiglia assume un significato ulteriore: i libri antichi che impreziosiscono gli scaffali d’una casa per il resto quasi spoglia, stringono un legame culturale che diventa di volta in volta sogno, vezzo o speranza. L’aspetto della convivenza di diverse lingue (georgiano, francese e russo, la lingua dell’oppressore) si perde nel doppiaggio ed è un peccato, così come malamente rese sono le battute della giovane Ada, che però comunica in maniera così evidente con sguardi e silenzi da sopperire al danno.
La pellicola prosegue con un forte senso di realismo, nei toni e negli scarni squarci di quotidianità, fino al dramma che investe le protagoniste: mentre la nonna è nella casa di campagna, il telefono squilla, portando la grave notizia della morte di Otar, in un incidente di cantiere. Troppo fragile l’anziana per reggere il colpo: Marina e la figlia si convinceranno a tenerla all’oscuro dell’accaduto, scrivendo loro le lettere, unico motivo di felicità per Eka. Ecco dunque il tema della menzogna, del valore sentimentale della verità raggirata, troppo pesante per essere sopportata. Così almeno sembra agli occhi di chi guarda.
Nel passare dei giorni, segnati dalla tragica esigenza del vivere quotidiano che spoglia le case di oggetti da vendere sulle bancarelle, l’anziana donna, che pure soffre questo smercio di passato, sarà capace di vendere i propri ricordi per averne uno in più, Otar o Parigi di notte, o solo la speranza americana, illusoria eppure ancora consolatoria.
Da quando Otar è partito… è un’opera forte e commovente, con la novantenne Gorintin (attrice da poco più di un lustro) che strazia il cuore, seduta sulle scale davanti ad una porta chiusa, a ricordarci che la verità esiste nella misura in cui vogliamo crederle.<br>

Luca Fagiani - CineClick (26.11.2003)


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