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OMBRE ROSSE - NIRVANA
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Rebecca Romijn-Stamos, Antonio Banderas, Peter Coyote


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Lo schermo che si divide in due, i personaggi che si raddoppiano, le storie che si avvolgono e accartocciano l'una nell'altra: Brian De Palma non è mica la prima volta che usa il cinema come uno specchio deformante o un potente allucinogeno, da Le due sorelle fino a Omicidio a luci rosse, abbandonando progressivamente la copia dei film di Hitchcock e portando il thriller verso un design sempre più radicale, tecnocratico e rutilante, ha continuato a raccontarci qualcosa mirando sempre allo stesso obiettivo. Tutto, pur di non metterci in grado di sospettare la verità prima che lui decida di farlo. Chiunque ami il giallo e il poliziesco sa che proprio questo è il piacere di chi ne è appassionato

Femme fatale, la sua ultima fatica, presentato a Cannes fuori competizione, tradisce, sin dalle prime inquadrature, questa missione. Proprio durante una delle anteprime del Festival (compare anche Gilles Jacob, il presidente, nella parte di se stesso) un quartetto efferato, seguendo un piano impossibile, libera una modella, prima che si sieda in sala, tra i vip, di un costume farcito di diamanti miliardari. Il colpo riesce ma solo la sua principale esecutrice, Rebecca Romijn-Stamos riesce a farla franca, fregando il suo principale complice e lasciando gli altri nei pasticci. A questo punto il film si avvita, in caduta libera, in una spirale in cui il problema della plausibilità non sembra proprio essere stato lo stress principale del regista che è anche lo sceneggiatore. In fuga dalla vendetta dei complici, la protagonista si imbatte in una sua sosia che è una normalissima borghese tormentata dal lutto recente della morte di una bambina. Il colpo di scena, un po' vistoso e non irresistibile, pone lo spettatore di fronte ad una opzione: in un caso, la diabolica ladra, femme fatale, assiste al suicidio della sua copia, ne prende l'identità e sette anni dopo si ritrova di nuovo a fronteggiare gli antichi sodali, sempre più incavolati, incastrando nella avventura Banderas, un paparazzo andato a male; nell'altro, impedisce alla donna di togliersi la vita - e forse proprio in virtù di questo fioretto, il destino provvede a toglierle dalla scatole per sempre gli antagonisti e a incontare Banderas non come persecutrice ma come conquista.

E' evidente che il film non può essere iscritto nella collezione dei film di De palma più solidi, convincenti e robusti, semmai sembra appartenere a quelli più estremi, stilizzati, malevoli, voraci e basculanti (come ad esempio Blow out e Raising Cain). Poco male, non è affatto sgradevole precipitare in caduta libera con De palma, le cui ossessioni sono tenere tutto a fuoco nell'immagine (da ciò che è ad un millimetro dall'inquadratura a ciò che dista centinaia di metri), segmentare e suddividere all'infinto con le inquadrature il luogo il tempo di una sequenza d'azione, e scoprire per il corpo delle donne sempre nuove immagini di seduzione. Ma, fatta eccezione per l'ultima che abbiamo scritto - l'attrice, e il suo corpo, sono assai più in forma del film - e di alcune sequenze di striptease, eros e una splendente fluttuazione acquatica, il resto, non sembra più l'effetto dell'esibizionismo di un grande tecnico ansioso di provare sempre qualcosa di nuovo, somiglia più alla distratta e nervosa frenesia di chi prova stratagemmi sempre più complicati con un vecchio giocattolo che non è più in grado di eccitarlo.

di Mario Sesti - Kwcinema


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