La mistificazione,
l'alterazione del vero, i falsi del passato soverchiati dai
falsi del presente, la menzogna come realtà e come Storia:
ne "Il Consiglio d'Egitto" di Emidio Greco i temi sono
quelli vicini al nostro tempo d'artificio, di trasformismi,
di imposture, di bugie e smentite, di poteri senza qualità,
e quelli più interessanti per il regista fin dal suo primo
film "L'invenzione di Morel" (1974). Come nell'opera scritta
da Leonardo Sciascia nel 1963 dalla quale il film è tratto,
ci sono poi la cultura illuminista dello scrittore e il
settecento in Sicilia, c'è il percorso parallelo e speculare
del povero prete maltese truffatore, creatore d'un monte di
falsità (Silvio Orlando) e del giovane avvocato
rivoluzionario, ideatore d'una congiura contro un potere
considerato abusivo (Tommaso Ragno). C'è infine, ne "Il
Consiglio d'Egitto" , uno stile di sobrietà elegante,
impeccabile e splendente; un'ambientazione molto bella che
ricorre all'intensità della luce, della musica e dei
dettagli più che all'accumulazione di arredi, che delega ai
personaggi i volti della Storia; e un'interpretazione
eccellente soprattutto del protagonista Silvio orlando e di
Renato Carpentieri, mentre Giancarlo Giannini compie il
miracolo di rendere una voce narrante fuori campo nobile,
bella.
Nel 1782 la Sicilia, dipende dal Regno di Napoli sul cui
trono siedono i Borbone; è governata dal vicerè Caracciolo,
riformatore, freno al potere dell'aristocrazia feudale
siciliana che definisce beffardamente le sue innovazioni "caracciolate".
In un giorno di dicembre immerso in una luce quasi d'estate,
l'ambasciatore del Marocco naufraga con la sua nave sulle
coste siciliane. A Palermo nessuno conosce la lingua araba,
e per servire da interprete al potente diplomatico si
sceglie un piccolo ecclesiastico maltese: si è convinti che
parli bene l'arabo. Non è così, ma il frate si arrangia per
afferrare al volo l'occasione. Al diplomatico marocchino
viene sottoposto un testo arabo conservato a Palermo che sta
molto a cuore a un monsignor Airoldi. "E' una vita del
profeta come ce ne sono tante", giudica l'ambasciatore. Ma
il frate riferisce invece che si tratta d'un essenziale
testo storico-politico sulla Sicilia, se ne fa affidare la
traduzione, ne altera il manoscritto, ne modifica il senso:
alla fine il codice viene a risultare, con le sue notizie
molto allarmanti per l'aristocrazia, capace di abolire
privilegi, proprietà e rapporti di poteri in Sicilia.
Il frate è divenuto intanto un abate famoso, benestante,
influente: anche sospettato, processato, ma assolto grazie
alla sua straordinaria prontezza ed astuzia. E' tuttavia sul
punto di venire smascherato, e contemporaneamente viene
scoperta la congiura organizzata dal giovane avvocato Di
Blasi. La loro sconfitta sarà parallela, esemplare
dell'impostura siciliana del tempo, dell'impostura italiana
di ogni tempo.
La furbizia, sfrontatezza, la rapidità di reazione del frate
sembrano un emblema italiano quando, essendo stati scoperti
i suoi raggiri, dice tutto, confessa, e porta con sè alla
rovina i suoi potenti protettori. Il silenzio, il coraggio,
la resistenza a morte del congiurato sembrano un altro,
opposto, emblema italiano. "il Consiglio d'Egitto", ricco di
trame e sottotrame, di Storia e di Presente, di significati
e di supersignificati, è appassionante come un'avventura a
tratti anche comica, buffonesca; è ammirevole anche la
bravura (fatta di conoscenza, non ostentazione, e senza
sprechi) che lo fa apparire un kolossal d'eccezione.
Lietta Tornabuoni - La Stampa