Il popolo migratore è un film di Jacques Perrin (Microcosmos
e Himalaya, l´infanzia di un capo), diretto da Jacques
Cluzaud e Michel Debats. La storia di questo documentario è
di quelle appassionanti, sia per il tema: l´incredibile
migrazione di stormi che attraversano nel loro volo anche
due continenti per trovare un clima più favorevole; sia per
i tempi e il modo di lavorazione degli autori: quattro anni
di paziente attesa, di esclusiva dedizione, utilizzando ogni
mezzo possibile, anche la mongolfiera, per seguire in tutti
gli angoli del pianeta e in modo ravvicinato decine e decine
di specie volatili, affrontando qualsiasi condizione
climatica, adattandosi all´imprevedibilità del comportamento
animale e alla loro ineludibile diversa percezione degli
elementi. Un film basato su una sceneggiatura solida ma, al
tempo stesso, necessariamente legato alle situazioni. Una
pellicola che, dunque, ha nel montaggio di Marie- Josephe
Yoyotte uno dei pezzi forti.
Non è stato affatto facile per i quattro direttori della
fotografia programmare il lavoro con largo anticipo. Quale
luce posizionare e dove puntare la cinepresa, se non si
conoscono le intenzioni degli attori e se non è possibile
prevedere che tempo farà e cosa accadrà in un set che non ha
niente di artificiale? E nemmeno per Philippe Barbeau è
stato semplice riprodurre i suoni, ossia i veri dialoghi di
questo documentario. Eppure, disinteressandosi del passare
delle stagioni, trascendendo dai frenetici ritmi produttivi
usuali, registi, fotografi e tutti coloro che hanno
partecipato alla realizzazione di quest´impresa, sono
riusciti a stabilire un´intesa con gli uccelli, dando luogo
a un piccolo capolavoro di poesia e tecnica.
Non si può nemmeno trascurare il lavoro di Bruno Coulais,
con la partecipazione di Robert Wyatt, Nick Cave e il
quartetto Bulgarka. Le musiche, più che i testi, sono
l´autentico commento alle immagini. Esaltano senza retorica
il canto degli uccelli, il loro volo, i momenti di pausa, il
pericolo imminente, la paura di non farcela, la morte, il
sospirato traguardo, il ritorno, i litigi e l´amore.
La maggior parte dei film che vediamo ha per protagonista
l´uomo e la sua capacità connaturata di modificare e
dominare l´ambiente. Quasi mai si prescinde dall´abilità
umana di volgere a proprio favore gli elementi naturali. Ne
Il popolo migratore assistiamo invece a un ribaltamento
della situazione: i protagonisti sono gli uccelli e la
natura segue sempre e comunque il suo corso rendendo
impervio il compito dei protagonisti. Questi non possono che
assecondare il loro destino, ossia migrare da un continente
all´altro, combattendo i venti, le piogge e le tempeste;
resistendo alla fatica non facendo altro che volare, poi
volare, e ancora volare.
Nonostante la specificità dell´argomento, Il popolo
migratore è un documentario sulla vita in generale. E´ un
racconto epico che riporta alla mente il viaggio di Ulisse,
il dover tornare a casa. Solo che in questo caso il mistero
è ancor più fitto, poiché non si conoscono le intenzioni e i
motivi per cui, dopo aver affrontato fino a 36000 chilometri
di viaggio, la sterna codalunga decida di tornare a Itaca.
Questo documentario è anche un film che racchiude in sé
molteplici generi cinematografici: avventura, azione,
thrilling, comicità, tragedia, e potremmo continuare così
esaurendo il dizionario specifico delle situazioni
cinematografiche. E´ un air movie o heaven movie, coniando
dal più noto road movie.
Perrin sembra suggerire in forma neanche tanto implicita una
morale filosofico-esistenziale. Nei testi più di una volta
si fa riferimento alla libertà degli uccelli di spiccare il
volo e di poter guardare dall´alto le nefandezze dell´uomo.
Nel loro viaggio senza confini (e senza impronte digitali da
registrare e permessi di soggiorno da richiedere),
attraverso deserti di sabbia e ghiaccio, fiumi e laghi,
campagne e monti, capita di passare anche sopra le grandi
metropoli e gli insediamenti industriali. L´uomo impersona,
così, il ruolo dell´inquinatore nel migliore dei casi, del
cacciatore assassino nel peggiore. Solo una vecchia
contadina e un bambino riescono a inserirsi positivamente
nel percorso dei volatili: salutano lo stormo alla partenza,
lo accolgono al ritorno. Una ciclicità che sembra lontana
nel tempo, fuori da ogni schema di vita moderna.
La libertà dell´uccello viene esaltata e non potrebbe essere
altrimenti, visto che il sogno mai realizzato dall´uomo è
stato e continua ad essere quello di volare. Ma mettendo da
parte il punto di vista umano e calandoci, se possibile, in
quello degli uccelli, sarà poi vera libertà volare per una
sola rotta due volte l´anno?
di Mazzino Montinari - Kwcinema