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Elijah Wood, Ian Mc Kellen, Viggo Mortesen, Christopher Lee, Sean Astin, Liv Tyler, Ian Holm, Cate Blanchett, Sean Bean


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Chiunque abbia avuto per le mani il DVD speciale del Signore degli anelli - La compagnia dell'anello, che contiene tra i più ricchi e notevoli contenuti extra tra quelli in circolazione, e abbia scoperto che l'intera compagnia neozelandese di Peter Jackson è andata avanti per anni lavorando tonnellate di lattice al giorno che arrivavano da Los Angeles (una maschera dura una giornata, un costume intero, una settimana) o forgiando spade d'acciaio o di plastica (quelle d'acciaio per i personaggi in primo piano) o macinando centinaia di bozzetti e modellini quotidianamente, uscirà da questa seconda puntata con un livello di ammirazione ancora più alto per una industria cinematografica che, in pochissime stagioni, ha maturato un livello di efficenza e qualità produttiva in grado di competere con Hollywood: tutti coloro che da anni continuano a predicare in Italia che il nostro mercato è troppo piccolo e la nostra industria troppo differente da quella americana per gareggiare con essa sullo stesso terreno, dovrebbero dimettersi a tempo indeterminato dalla propria appartenenza al mondo dei professionisti della settima arte.

Come sanno tutti coloro che hanno letto Tolkien (pare che siano i lettori più numerosi dopo quelli della Bibbia), "Le due Torri" è il libro più guerresco e fosco della trilogia del "Signore degli anelli", quello che trabocca pià degli altri di tremendo sforzo fisico e spossatezza, dolore e sgomento: dispersa la compagnia dell'anello che aveva scortato con successo Frodo fino alle porte degli argonauti, i vari protagonisti della impareggiabile impresa di restituire l'anello alle viscere del vulcano ed agli inferi che l'hanno prodotto, si disperdono in una serie di percorsi individuali frammentati e paralleli. Frodo e Sam puntano dritti a Mordor e incontrano l'essere assurdo, viscido e patetico, Gollum (il più importante tra i nuovi personaggi che si aggiungono a quelli del primo film) destinato a giocare un ruolo decisivo nell'intreccio. Aragorn, con Legolas e Ginni, dà manforte al regno umano di Rohan contro il quale muovono le sterminate legioni degli Uruk-Hai di Saruman, ma la battaglia alla fine sarà riequilibrata dalla riapparizione di Gandalf (che non è morto nel conflitto con Balrog come rivela una delle prime e più sfolgoranti sequenze del film) e dall'essere più strano di tutto il film: Ent, un antichissimo albero che guiderà contro Isergard un'intera foresta, dilaniando assieme ai suoi venerabili fratelli vegetali una diga e provocando la devastazione del quartier generale di Saruman. Nel frattempo il terribile anello sembra essersi sempre più impossessato del corpo e della coscienza di Frodo.

E nel frattempo la fortunata versione cinematografica della saga si è ampiamente impossessata della nostra avidità di spettatori: non c'è bisogno di essere dei fan di Tolkien (di destra e di sinistra: come è noto lo scrittore, anche se questo lo infastidiva, venne eletto a vate dell immaginario degli hippies californiani degli anni sessanta e settanta, come dei neofascisti italiani degli anni 80), non c'è bisogno neanche di aver letto il libro, per lasciarsi trascinare docilmente, tra il disperato ardimento degli hobbit e l'incondizionata volontà di potenza delle forze del male, in un flusso di immagini maestoso e tumultuoso che, nelle Due torri, sembra toccare l'apice dell'elezione di ogni immaginario epico, da Omero a Carducci. Bastioni ciclopici ed eserciti che rovinano a valle da spaventosi dirupi come valanghe, il latrato dei mannari e la cavalleria degli orchi, l'orda che invade la pianura come un serpente e l'agguato bestiale degli Uruk-Hai.

Peter Jackson è qualcosa di più di un ottimo tecnico del blokbuster d'azione, visto che riesce a incalzare l'attenzione dello spettatore senza cedimenti per più di due ore, e non è detto che passerà alla storia come un autore di quelli capaci di rovesciare forme, linguaggi e strutture anche se parla la lingua del fantastico cinematografico con una energia e una ricchezza entusiasmanti, ma con l'impresa gigantesca che sta a portando a termine, tozzo e rotondo come il suo protagonista Frodo, è riuscito a rovesciare e annullare l'incantesimo che tiene sotto scacco l'Isengard hollywoodiana da più di un decennio: nel suo Signore degli anelli, non è il cinema al servizio delle meraviglie digitali ma sono queste che rendono possibile la creazione cinematografica di immagini attinte dal più celebre serbatoio mitologico e fantasy della letteratura contemporanea.

Se è vero che Tolkien più che un grande romanziere è un formidabile orafo e cesellatore di parole capace di trasformare l'etimologia di una lingua inventata in una mirabile cosmologia dalla quale gemmano racconti ad ogni sostantivo che inventa - è la tesi sostenuta in un bel libro sulla sua opera: "Tolkien, il signore della fantasia", di Andrea Monda e Saverio Simonelli, Frassinelli Editore - è altrettanto vero che è stato Peter Jackson, nato in una terra in cui gli angli e i sassoni non hanno mai messo piede, a servire questo infinito prodigio lessicale di una illustrazione altrettanto ricca e dinamica, vasta e ipnotica. Con la sua armata di raffinatissimi illustratori ed esperti di visual effect, ha trasformato un universo di parole che scatenano miti ad ogni evocazione in un oceano di immagini che producono forme e movimento. La ricchezza della sua iconografia ha la stessa morbida e infinita plasticità dell'inventiva etimologica di Tolkien. Mentre Hollywood, da diverse stagioni, non fa che produrre sceneggiature che servono a mettere in scena effetti digitali, Jackson ha messo la tecnologia al servizio del più originale esperimento di laboratorio della fantasia della cultura contemporanea, ha usato le meraviglie del digitale per dare corpo, profondità e movimento alla sceneggiatura più immaginifica che il novecento europeo abbia prodotto.

Allo scadere dei 140 minuti dei suoi 179', forse, in Il signore degli anelli - Le due torri, il cozzo delle lame si fa più stanco e ripetitivo, gli orchetti appaiono più giallastri e tumefatti e il ricordo dell'idillio pastorale dell'esordio del primo episodio si fa più struggente. Ma è anche il momento in cui la fiaba libera la sua suggestione più nobile. Saruman è a pezzi e il resto della Terra di Mezzo sembra avviarsi ad una nuova alleanza tra nani, hobbit, elfi e uomini. Contro le forze del male, contro i guerrafondai, solo una società multietnica e multirazziale può farcela. E non c'è bisogno di una puntata di "Porta a Porta" per capire che è un messaggio rivolto anche a noi oltre che ai personaggi di Tolkien.

Mario Sesti - kataweb


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