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     CAST


Alessandro Pelizzon, Roberto Accornero, Giorgia Porchetti, Francesca Vettori, Tatiana Lepore, Roberto Zibetti, Paola Roman, Piero Ferrero.


     PREMI

 X festival "Scrittura e Immagine" di Pescara

 vincitore del X festival "Scrittura e Immagine" di Pescara


     RECENSIONI


Un giorno d'inverno del 1931. Un diciottenne con gli occhialini e il ciuffo biondo ben curato ricopia una scheda su un registro. E' in una vecchia biblioteca che mette soggezione. Un'oasi protetta da regole precise, dalla disciplina, dal senso del dovere e della buona educazione. Da fuori, come se fosse lontano, ma sono lì sotto, in cortile, arrivano ovattati i lamenti e le grida di un grigio popolo di donne fantasma. Sembrano alberi secchi, avvolti in panni scuri e scossi dal vento: sono le recluse del Regio manicomio femminile di via Giulio 22 a Torino.
Oltre al nome della via, Giulio è anche il nome del ragazzo che con diligenza e metodo annota sul registro tutte le cartelle mediche delle pazienti. E' il figlio dell'economo capo. Si chiama Giulio Carlo Argan, futuro critico e storico dell'arte, insigne maestro di sguardi, docente universitario, senatore della Repubblica e sindaco di Roma. In quel posto dove, come diceva egli stesso, cercavano di guarire le malate per farle uscire, invece di farle uscire perchè guarissero, ha vissuto la sua adolescenza, diventata adesso un film.
Lo ha girato fra via Milano e via San Domenico, la Galleria Subalpina e il Po. Claudio Bondì, 56 anni, romano, regista con molta esperienza Rai, ultimo aiuto di Rossellini. Giovedì sera è stato presentato in anteprima nazionale al Due Giardini, grazie alla Film Commission. Si intitola L'educazione di Giulio. La settimana prossima sarà negli Stati Uniti, dove sabato 28 chiude il Festival del cinema italiano di Los Angeles. Nelle sale italiane uscirà il 4 maggio. E sarà come tornare in un tempo e in una città dal sapore eroico, in una atmosfera di regime, ma in un clima di antagonismo e antifascismo.
L'educazione di Giulio, liberamente ispirato alla vita torinese di Argan, è il racconto di un'adolescenza che scopre la propria identità. Il racconto di un anno in una ottantina di scene, un anno di formazione, dopo il quale le cose non possono più essere come prima. Segna l'ingresso nella vita adulta, nell'età delle scelte, quando individui il tuo destino. E' anche una sorta di come eravamo orgoglioso e pignolo, il come eravamo di una generazione, quella degli Sturani, dei Levi e dei Pavese, e di una città, quella di Gobetti e Gramsci, culla del Partito d'Azione.
Curato nelle scene e nei costumi, il film ha il fascino delle cose fatte in piccolo, ma bene. Ciò che più colpisce è la recitazione degli attori, per la maggior parte dei torinesi, di formazione teatrale: naturale, asciutta, senza pesanti sottolineature, senza enfasi, né eccessi. Facce giuste, gesti misurati. Quasi un'orchestra che segue con umiltà il suo direttore senza strafare, senza ridurre i personaggi ad esili caricature. Un'insolita riuscita per una pellicola italiana. Il protagonista è Alessandro Pelizzon. Accanto a lui si distinguono per efficacia Roberto Accornero, nei panni del padre; Francesca Vettori nella parte della dottoressa Luisa Levi, sorella di Carlo, il pittore, prima italiana a laurearsi in psichiatria; Giorgia Porchetti, la compagna di scuola amata e un po' temuta; Tatiana Lepore, una paziente che nel manicomio porta una sana voglia di vita, di libertà e di piacere.

Gian Luca Favetto - la Repubblica

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