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Wu Jiang , Quanxin Pu , He Zeng , Xu Zhu


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Festival di Rotterdam
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Pechino: un uomo d'affari in giacca e cravatta inserisce una monetina in una doccia automatizzata ad alta tecnologia. In pochi minuti un sistema meccanizzato di spazzole, getti d'acqua direzionati e sapone vaporizzato lo restituisce alla strada perfettamente lavato e asciugato.
Sulle immagini di una concezione industriale del corpo e delle sue esigenze inizia La doccia, secondo lungometraggio del regista cinese Zhang Yang, conosciuto per aver realizzato con Spicy Love Soup il primo film indipendente cinese ad aver ottenuto un vasto successo di pubblico in patria.
Vincitore del premio del pubblico al Festival di Rotterdam e del premio come miglior film a quello di San Sebastian, La doccia è costruito su una semplice opposizione: da una parte la doccia, strumento moderno, veloce, rapido e igienico, usuale per una nuova classe dirigente che concepisce il gesto del lavarsi come necessità da svolgere nel minor tempo possibile.
Dall'altra la filosofia del bagno pubblico, vera e propria istituzione di una Cina ancora legata a valori tradizionali per cui il rito del bagno è attività collettiva, vero e proprio luogo di ritrovo e di socializzazione.

Cuore della storia è la sauna tradizionale di Maestro Liu, posizionata in uno dei più vecchi quartieri popolari di Pechino: di tradizione millenaria, questa antica sauna pechinese ora accoglie solo vecchi pensionati e nuovi borghesi che si riuniscono quotidianamente per un bagno caldo, un massaggio, per chiacchierare, giocare, litigare o semplicemente per far passare il tempo.
Maestro Liu è il cerimoniere di una concezione ancora sacrale dell'acqua e del corpo: insieme al figlio minore ritardato si prende cura del vecchio stabile e di tutti i suoi clienti.
Dopo molti anni di assenza il figlio maggiore torna alla casa paterna, abbandonata per andare a lavorare nella più moderna Shenzhen, regione di maggior sviluppo economico.
Il binomio modernità/tradizione che taglia trasversalmente tutta la cinematografia cinese post-maoista (basta vedere come si esprime nell'opera di Zhang Yimou) qui viene sviluppato contrapponendo due diverse concezioni di vivere il momento del bagno: la diversità esistenziale di due generazioni passa per la diversa concezione filosofica del tempo, che scorre in simbiosi con lo scorrere dell'acqua.
Le ampie vasche del maestro Liu sono rettangoli di luce fermi e placidi, buchi spazio-temporali, dove il tempo del vivere viene sospeso e il corpo, libero dalla sovrastruttura dell'abito e da ogni connotazione di classe sociale, ritrova sé stesso.

Prodotto dalla Imar Film Co., la prima società cinematografica diversificata per la produzione di film indipendenti in Cina (specializzata nel produrre film per il mercato urbano e giovanile) La doccia coniuga intento didattico (la cultura dell'acqua nella tradizione cinese) e volontà di denuncia (la scomparsa del tessuto sociale travolto dall'avanzata di una modernità senza scrupoli): la secchezza di sguardo di impronta neorealista viene di volta in volta stravolta da punte melodrammatiche (il rapporto del figlio ritardato col padre) e da inserti al limite del kitsch (il ritornello di ''o sole mio' cantato ripetutamente sotto il getto d'acqua).
Una narrazione programmaticamente ingenua, che però non indulge nel rassicurante ottimismo della favola: Zhang Yang racconta un mondo dove l'acqua e il tempo hanno definitivamente perso la loro carica simbolica.

di Silvia Colombo - Kwcinema


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