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Valeria Golino, Vincenzo Amato (II), Elio Germano, Francesco Casisa, Veronica D'Agostino, Filippo Pupillo, Emma Loffredo


     PREMI

 

 


     RECENSIONI


Il mare nel cinema è quasi sempre inquadrato frontalmente, come in una cartolina. Fa così Truffuat, fa così Ferreri: una distesa a perdita d'occhio che suggerisce così spontaneamente l'idea che si possa guardare davanti stupiti che esista qualcosa di così esteso e pieno di riflessi di luce, così incomprensibile e maestoso, che è difficile non pensare che anche ciò che si ha davanti, la vita, non possa promettere qualcosa di altrettanto eccitante, imprevedibile e sconosciuto. Emanuele Crialese, che si è laureato in cinema nel Village, a New York, alla Tisch University e che si è messo in luce prima con un cortometraggio che ha catturato l'attenzione di qualche importante regista americano, e poi con un film,We were strangers, selezionato dal Sundance Film Festival di Robert Redford, rovescia con sicurezza istintiva e oscura determinazione questa convenzione visiva. Nel suo film, Respiro, presentato a Cannes nella sezione della Semaine della Critique, il mare è perlopiù inquadrato da altezze vertiginose o abissi profondi. Da altissime rocce a strapiombo, o da fondali remoti. E' il mare immenso, blu profondo e smeraldo che circonda Lampedusa. In un'Italia che fa ancora sognare adolescenti e giovani spose con i 45 giri che strillano nei mangiadischi, Valeria Golino è una delle seconde ed ha fama, nell'isola, di essere un po' pazzerella. Fa il bagno nuda, guida la lambretta, tratta il marito pescatore e i suoi amici alla pari. Ci vuole molto meno per scandalizzare quell'isola e quell'Italia. Lo sanno i compaesani che la disprezzano, lo sa il marito che ne è tanto innamorato quanto imbarazzato, lo sanno i figli, due scugnizzi che partecipano senza risparmiarsi alle lotte tra bande degli adolescenti locali. Le quali si affrontano come insetti, spalmandosi gli uni sugli altri, masse di corpi che mimano insieme qualcosa di altrettanto vicino all'eros che alla tortura. Quando Grazia (la Golino), decide di scappare e di mettere di mezzo tra sé e il resto del mondo una grotta e una baia (con la complicità di uno dei suoi figli), iniziano le battute di caccia. Sembra scomparsa come una creatura mitologica più che essere stata vittima di un incidente in acqua. Ambientato nel meridione come su un pezzo di un continente esotico e primordiale, battuto da una pulsazione animale e da vibrazioni di fisicità febbrile, Respiro possiede una impressionante sequenza allegorica in cui tutti i maschi adulti del paese uccidono dai tetti un'orda di randagi bastardi che Grazia ha liberato per i vicoli mandando fuori di testa l'intera comunità. In realtà, dopo metà, coraggiosamente sembra diventare, con sorpresa, un altro film. Non quello che racconta della inevitabile repressione di chi ha troppa vita, ma quello di chi, senza questa vita, non sa più vivere (il marito) e brancola in una disperazione lacerante e sorda. In ogni caso, si tratta di un film vivido e luccicante come un minerale. Non riesce a portare a termine la virata drammatica che imposta dopo la scomparsa di Grazia, ma ha un finale dotato di una trance ipnotica. Grazia ricompare dagli abissi, e l'intero paese si tuffa in acqua: per accoglierla o aggredirla? Non lo sapremo mai perché l'inquadratura è dal basso (come basso, è il clarinetto di John Surman al quale si deve una suggestiva litania che affiora e scompare nel suono di tutto il film). I corpi si stringono intorno a lei, agitano gambe e mani, galleggiano infrangendo all'infinito i disegni di luce della superficie. Un movimento lungo, rallentato, formicolante che scrutiamo come se fosse il cielo di una murena, abituata a scrutare ogni cosa senza stupirsi. E senza respiro.
di Mario Sesti - Kwcinema


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