L'Italia è considerata un
paese, fra l'altro, di navigatori ma non ha avuto (se si fa
eccezione per qualche sequenza di Rossellini, qualche
documentario di De Seta, qualcosa di De Robertis) un grande
cinema di mare. Del cinema di costa, di spiaggia, di porto
al massimo, ma sempre girato con i treppiedi per terra. La
prima virtù di Tornando a casa, primo film del
napoletano Salvatore Marra presentato a Venezia alla
'Settimana della Critica', è appunto di essere girato, in
gran parte, a bordo di un peschereccio, con la capacità di
restituire sensazioni, rumori, impressioni fisiche, un senso
dello spazio e del movimento che nessuna piscina di Cinecittà
potrebbe sostituire. Tanto più che gli interpreti sono
tutti non professionisti, veri pescatori di Procida dotati
però di una istintiva capacità di recitare come degli
attori di sceneggiata napoletana. E sulla barca di Sasà,
pescatore napoletano che va a gettare le reti lontano, oltre
la Sicilia, nel mare già africano dove il pesce è tanto
anche se bisogna stare attenti alle motovedette tunisine e
libiche, c'è un piccolo campionario di caratteri che la
rende simile a un teatrino navigante: il capitano e padrone,
determinato e coraggioso, il giovane che sogna l'America, il
vecchio marinaio istintivamente e bonariamente razzista,
perché a bordo c'è anche un lavorante tunisino, con cui
invece il giovane solidarizza. E un po' da sceneggiata è lo
sviluppo della storia. Per evitare il continuo stress della
pesca clandestina e poter stare più vicini alle famiglie
Sasà decide di tornare a casa e ricominciare a pescare
nelle acque del Golfo. Non è un ingenuo, sa che deve
chiedere il permesso a qualcuno, ma una protezione non
basta, la mala gente è tanta e una barca in più dà
fastidio a molti. Napoli non è una casa in cui si possa
tornare e anche il giovane Franco lo scoprirà dolorosamente
sulla sua pelle. Così la barca si rimette in mare, di nuovo
verso l'Africa e verso un finale di sapore pirandelliano in
cui Franco deciderà che è un'altra casa e un'altra terra
quella verso cui deve tornare.
Un finale un po' letterario e calcato che dà senso al film
ma lo porta anche in una direzione che stilisticamente non
è la sua, anche se fa da contraltare a certi dialoghi e
situazioni un po' schematici della parte girata "a
terra", dove lasciano perplessi anche alcune scelte
narrative e di regia poco naturali. Ma nella sua completezza
il film tiene bene (il mare), e si fa vedere con piacere e
interesse. E' piaciuto molto a Nanni Moretti, che lo ha
voluto nel listino della sua Sacher Distribuzione.
Alberto Farassino - Kataweb