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CAST
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Sabina Guzzanti, Pierfrancesco Loche, Francesca
Reggiani, Cinzia Leone, Antonello Fassari, Stefano
Masciarelli
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PREMI
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RECENSIONI
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A due anni da “Viva Zapatero!”
(2005), Sabina Guzzanti torna dietro la macchina da presa
con “Le ragioni dell’aragosta”, da lei stessa definito un
esperimento sull’agire, sulla difficoltà di organizzarsi e
di aggregare.
La regista, infatti, insieme agli attori di “Avanzi”,
trasmissione televisiva satirica degli Anni Novanta, si
ritrova a Su Pallosu, piccolo villaggio della Sardegna in
cui hanno deciso di mettere su uno spettacolo a sostegno
della causa dei pescatori in gravi difficoltà per lo
spopolamento del mare; tra cui c’è un certo Gianni Usai, ex
operaio della Fiat e sindacalista.
Il look generale dell’operazione, quindi, che potremmo
tranquillamente definire mockumentary, è quello di un dietro
le quinte in cui si alternano i volti noti di Cinzia Leone
(“Parenti serpenti”), Pierfrancesco Loche (“Non chiamarmi
Omar”), Antonello Fassari (“Romanzo criminale”), Francesca
Reggiani (“Sognando la California”) e Stefano Masciarelli
(“Ladri di barzellette”).
Per apprezzarlo, però, è necessario trovarsi in sintonia con
la comicità dell’autrice, altrimenti l’impressione generale
è quella di trovarsi dinanzi ad una logorroica e noiosa gita
domenicale al centro sociale.
Infatti, nonostante la banale struttura da collage
proto-“Blob” che aveva caratterizzato il suo lavoro
precedente sia stata abbandonata (se escludiamo qualche
piccolo accenno proveniente da televisori accesi in scena)
in favore di una malinconica vicenda di amicizia e
solidarietà, Sabina Guzzanti, tra un’imitazione
masciarelliana di Giovanni Agnelli e la sua, immancabile (ed
ormai stucchevole, ammettiamolo), di Silvio Berlusconi, non
rinuncia ai consueti attacchi al padrone di casa Mediaset,
“colpevole” anche di aver affermato “La finanziaria è
stalinista”.
Quindi, secondo “Le ragioni dell’aragosta”, le disgrazie
dello stivale tricolore sono arrivate negli Anni Ottanta,
con la nascita delle tv del Cavaliere, quando le persone
hanno iniziato a disinteressarsi della politica e la
democrazia ha cominciato ad essere smantellata.
Forse, farebbe meglio Sabina Guzzanti a pensare più al
cinema che alla politica, almeno al fine di ricordarsi che
non essere razzisti, per un’artista, dovrebbe significare
anche non rivolgersi ad una sola parte degli spettatori;
perché il solo, inaspettato finale del suo lungometraggio,
ricco di poesia e dispensatore di un intelligente messaggio
relativo ad un mondo migliore ed ai desideri che hanno
bisogno di essere desiderati, non solo vale tutta l’opera,
ma testimonia perfino una certa maturazione dietro la
macchina da presa.
Federica Di Bartolo
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