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CAST
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Benicio Del Toro, Franka Potente, Carlos Bardem, Kahlil
Mendez, Yul Vazquez, Demián Bichir, Rodrigo Santoro
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PREMI
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RECENSIONI
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Steven Soderbergh presenta a
Cannes Che, il film che unisce le due pellicole "The
Argentine" e "Guerrilla" in un unico film fiume e che sarà
distribuito in Italia da BIM diviso in due parti.
Sette anni per le ricerche sulla vita e la morte di Ernesto
Guevara, detto il "Che"; un anno solo per trovare i
finanziamenti, dato i timori anche politici dei produttori
americani.
La prima parte inizia il 26 novembre del 1956 quando Fidel
Castro salpa verso Cuba con un’ottantina di ribelli: tra
loro Guevara, un medico argentino idealista, intenzionato a
far cadere la dittatura di Batista. Nel 1959 Cuba sarà nelle
loro mani e Guevara guadagnerà la fama di grande combattente
e l’appellativo di "comandante". Tra un andirivieni
temporale, tra flashback e flashforward, in cui si assiste
al consolidamento dei principi della guerriglia del Che, a
battaglie nelle foreste cubane, agli interventi in bianco e
nero del Che all’ONU nel 1964 come rappresentante cubano,
nonché a un’intervista che Ernesto Guevara rilasciò a una
giornalista americana, illustrando i suoi ideali e i mezzi
per raggiungerli (anche qui vige il bianco e nero), passiamo
alla seconda parte, dopo la rivoluzione cubana, quando il
Che ricompare in Bolivia, nel 1967, dopo un lungo periodo di
assenza, e cerca di organizzare una grande rivoluzione
sudamericana, che lo condurrà alla morte per mano delle
truppe del Presidente Barrientos, tradito anche da una
popolazione locale che lo sente come uno straniero.
Un progetto ambizioso che resta in bilico. Non è un
documentario. Non si può neppure definire un’opera
agiografica. Lo scopo di Steven Soderbergh è di renderci
l’immagine a tutto tondo del Che, in un lavoro che si perde
per strada ed è discontinuo per intensità. La prima parte
definisce il crearsi di una leggenda, di un eroe
dell’immaginario collettivo, carismatico, colto, bello e
anche spietato nel far valere la giustizia: è forse la parte
più incisiva, che riesce a tenere desta l’attenzione dello
spettatore. La seconda parte è meno riuscita, lenta e
noiosa, quando voleva essere in realtà riflessiva e "umana".
Ci pare che Soderbergh, nonostante le dichiarazioni, resti
soggiogato dal mito del Che: spesso supera e scavalca i
retroscena politici di approfondimento per focalizzarsi su
Guevara, che resta però sempre fuori fuoco, mai davvero
colto nella sua complessità umana. Rimangono certe
espressioni, oggetti e gesti della leggenda: un sigaro, una
barba, uno stivale, una celebre fotografia. Ernesto Che
Guevara resta un mistero, con le sue contraddizioni,
l’umanità ma anche la spietatezza.
Soderbergh gestisce l’uomo Che come un chirurgo in una sala
operatoria, asettico, distante, freddo, e trasmette il gelo
anche allo spettatore, che non riesce a coinvolgere
empaticamente nelle sorti di un mito. Benicio Del Toro tenta
la mimesi, ma la sua è un’interpretazione monocorde, fissa.
Difficile che un uomo come quello rappresentato da Steven
Soderbergh potesse sollevare e infiammare gli animi di un
popolo.
Giulia Baldacci
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