|
|
CAST
|
Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Giulio Bosetti, Flavio
Bucci, Carlo Buccirosso, Giorgio Colangeli, Piera Degli
Esposti, Alberto Cracco, Lorenzo Gioielli, Paolo
Graziosi, Gianfelice Imparato, Massimo Popolizio, Aldo
Ralli, Giovanni Vettorazzo
|
|
PREMI
|
|
|
|
RECENSIONI
|
|
Apertura con glossario
"italiano", che ha lo scopo di guidare lo spettatore nelle
terminologia e cronologia della politica italiana degli anni
Novanta; chiusura con lo scorrere delle sentenze dei
processi a carico di Giulio Andreotti, senatore a vita, ora
ottantanovenne.
Scritte rosso cupo, il colore del sangue verrebbe da dire,
perché gli anni Novanta, da cui il film di Paolo Sorrentino
prende il via, furono anni tragici per l’Italia, di omicidi
e suicidi, di nodi del passato che vennero al pettine, di
Tangentopoli, della mafia, di Giovanni Falcone. Anni che si
aprono ne Il divo con il VII Governo Andreotti e con un
inizio folgorante: una musica vivace e ritmata,
orecchiabile, accompagna con piglio surreale una catena di
uccisioni, con fiotti di sangue vivo che rammentano le
scritte di pochi istanti prima.
Sorrentino concentra il suo sguardo sugli anni che vanno dal
1992 ai processi per collusione con la mafia, tutti conclusi
con l’assoluzione, a carico del senatore. Dopo la
presentazione della "corrente andreottiana", uno dei momenti
più riusciti, per originalità e senso del grottesco, del
film, in cui vediamo sfilare, nome e cognome e soprannome, i
personaggi che furono lo scudo di quegli anni attorno ad
Andreotti, il film miscela pubblico e privato, fornendoci un
ritratto dell’uomo politico più potente e longevo, cercando
di sondare il mistero Andreotti. Un tutto tondo che,
ovviamente, non riesce a penetrarne il segreto, a scalfirne
le risposte lapidarie, di un’ironia feroce, di colui che è
stato, come disse Indro Montanelli o "il più scaltro
criminale o il più grande perseguitato della storia
d’Italia".
Paolo Sorrentino, regista e sceneggiatore con la consulenza
del giornalista Giuseppe D’Avanzo, ne Il divo riesce (cinematograficamente)
quando, con il suo personalissimo stile e una commistione di
musiche e immagini, con riprese di primi piani e un uso
serrato della macchina da presa, utilizza come chiave di
lettura il grottesco, in questo caso forse l’unica chiave
interpretativa. Di un uomo, colto nel privato e umanizzato,
del Potere che incarnava e che maneggiava.
Fallisce quando cade nelle banalizzazioni degli sketch,
delle gag, che paiono una commistione del Bagaglino, e dei
fratelli Guzzanti: ma mentre la satira, per essere efficace,
deve essere fulminante, una scarica elettrica che arriva e
lascia il segno, il prolungamento di certi siparietti da
cabaret per 110 minuti alla fine perde il graffio e la forza
e, alla lunga, può risultare stancante, senza più impatto.
Un film che lascia malinconici, con questa galleria di
personaggi e corruzioni, di morti e stragi e che ci fa
uscire dalla sala vergognosi, più che divertiti.
Giulia Baldacci
|
|
|
| festival | trailer | sito
ufficiale |
|
|
|
|