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CAST
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Johnny Depp, Orlando Bloom, Keira Knightley, Geoffrey
Rush, Jonathan Pryce, Bill Nighy, Yun-Fat Chow, Martin
Klebba
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PREMI
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RECENSIONI
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Arriva il terzo episodio, o la
seconda parte del secondo, fate voi, della saga dei Pirati
dei Caraibi. "Ai confini del mondo" rispetta i canoni dei
due precedenti film: opera corale con una molteplicità di
personaggi ai quali il regista dedica equilibrate porzioni
di attenzione, lunghe scene d'azione, effetti speciali a
iosa, cura per un colpo d'occhio soprattutto delle scene in
notturna che conquisti i palati dei più esteti ed un
divertito gusto per il macabro e il raccapricciante così
come ci si aspetterebbe da un bimbo che ama tagliare le code
alle lucertole o far morire d'asfissia una mosca dentro ad
un bicchiere. Ecco, probabilmente, è questo quello che
caratterizza , e conquista, dei tre film di Verbinski:
l'occhio infantile con il quale guarda, e racconta, le
vicende di Jack Sparrows e dei suoi accoliti. Quello sguardo
da bambino che fa accettare con leggerezza anche i
tradimenti più vili - tutti tradiscono tutti per i fini più
nobili e più infimi, nessuno si fida di nessuno ed il doppio
gioco diventa triplo e quadruplo tant'è che alla fine ci si
raccapezza con difficoltà tra l'intricata tela delle
alleanze e dei patti segreti - o le situazioni più
drammatiche e penose: l'amore, la guerra, la morte,
l'abbandono assumono i contorni di un leggiadro gioco di
bimbi…
Ma c'è qualcosa in più in "Ai confini del mondo". Verbinski,
ormai conscio delle proprie possibilità e forte
dell'evidente libertà produttiva concessagli, si permette
quasi dieci minuti di calma piatta - estraniandosi dal
concitato turbinio degli eventi - raccontandoci della follia
mentale del pirata Sparrows confinato in una sorta di limbo
per pirati dove domina la totale assenza di mare e di vento.
Dieci minuti per mostrarci i demoni di un pirata buffone ed
istrionesco, pieno di sé, romantico senza essere sdolcinato,
crudele senza risultare odioso, scaltro ma non abbastanza
per non farsi infinocchiare dalla bella - e la Knightley lo
è davvero - di turno. Ma il regista di New York non si ferma
qui e si permette di citare esplicitamente Sergio Leone in
una scena anche questa al di fuori dei canoni stilistici
predominanti e si toglie il gusto di dirigere un mito del
Rock come il Keith Richards dei Rolling Stones. Che volere
di più da un regista di appena quarant'anni?
Forse, un minor uso di effetti speciali (suggestiva la scena
dei frammenti di legno della nave esplosa anche se grondante
autocompiacimento) ed una maggior attenzione alla trama
troppo al servizio dell' effetto a scapito della coerenza
narrativa, non è chiedere troppo. Comunque il film, pur se
lungo, ci conduce avvincendoci al porto di un finale che
lascia qualche dubbio su un possibile quarto capitolo.
Un consiglio: attendete la fine dei - lunghi - titoli di
coda. Avrete una sorpresa…
Daniele Sesti
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