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CAST
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Ralph Fiennes, Kate Winslet, Bruno Ganz, Ludwig
Blochberger, Jeanette Hain, Volker Bruch, Linda Bassett,
Claudia Michelsen
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PREMI
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RECENSIONI
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"Tutti sapevano. Come hanno
fatto a permetterlo?". Per una parte della generazione
tedesca successiva al Nazismo la domanda può essersi posta
ma nell’età della ragione, quando cioè i rapporti affettivi
con i genitori - corresponsabili degli orrori del regime -
chiaramente erano già solidi. A ciò vanno aggiunti anche
alcuni atteggiamenti e tendenze di una nazione – di fronte
al tribunale del mondo - caratterizzati da lentezze
procedurali, resistenze difensive, responsabilizzazioni
singole. Per il dramma etico-sentimentale di questa gioventù
è stato utilizzato il termine “Vergangenheitsbewältigung”
(ossia la lotta per venire a patti con il passato), e
l’argomento è stato affrontato da "A Voce alta", breve
romanzo semiautobiografico del professore di legge a Berlino
Bernhard Schlink adottato come libro di testo nelle scuole
del paese e tradotto in 40 lingue, nonostante abbia ricevuto
accuse di revisionismo e pornografia culturale nel
permettere un’identificazione del lettore con i criminali. I
suoi diritti cinematografici sono stati acquistati nel 1996,
e una decina d’anni dopo Stephen Daldry - che aveva studiato
tedesco e vissuto nella capitale - si è proposto per
dirigerlo, in Germania e con troupe locale.
Sebbene il film si restringa su due amanti, con la scoperta
dell’identità della donna il caso privato si fa subito
universale, mantiene un costante mistero intorno a Kate
Winslet, relativizza la resa o meno del tormento emotivo e
morale del protagonista (da ragazzo e da adulto), rimanda ad
alti dilemmi e tocca questioni nodali. Ad esempio, la
differenza tra limiti della Legge e purezza etica per cui, a
proposito di colpa collettiva, il peso maggiore della pena
ricade su chi – da anonimo impiegato di un campo di
concentramento - si assume responsabilità proprie e altrui,
mentre i pavidi e bugiardi colleghi se la cavano con molto
meno. Soprattutto, l’opera mostra lo sforzo dei figli
nell’indagine e nel trattamento umano dei condannati,
seppure vincolato a legami personali. Il che non significa
perdono, ma un doloroso grado di maturazione che è il vero
tratto di discontinuità coi padri.
Federico Raponi
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