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Ron Ben-Yishai, Ronny Dayag, Ari Folman, Dror Harazi, Yehezkel Lazarov, Mickey Leon, Ori Sivan


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Il regista israeliano Ari Folman incontra in un bar un amico di vecchia data, che gli racconta un incubo ricorrente, in cui è inseguito, nella notte, da un branco di ventisei cani inferociti.
L’uomo si sveglia proprio quando i cani stanno per attaccarlo.
L’incubo si ricollega al tragico periodo vissuto dai due amici agli inizi degli anni Ottanta quando, molto giovani, furono arruolati nell’esercito israeliano in missione in Libano e assistettero al massacro di Sabra e Shatila, da parte di falangisti cristiani.
Ari non ricorda nulla di quel periodo, quasi ci fosse un’assenza temporale, un buco nero. Chiedendo aiuto ad uno psicologo, che gli spiega i meccanismi misteriosi della memoria, Ari decide di dissotterrare quelle memorie e parte alla ricerca dei suoi commilitoni. Dai ricordi frammentari e dalle immagini evocate dagli amici, anche Ari inizierà a recuperare stratificazioni di memorie, sogni surreali, fino al ricordo completo.

Ari Folman ci racconta il suo viaggio nella memoria, in una sorta di documentario di animazione, con svolte e parentesi surreali. Waltz with Bashir è infatti un film di animazione, genere già sperimentato dal regista, che vanta ben 2300 tavole disegnate e poi animate, con uno script originale di 90 pagine. Un "format" di animazione creato dallo studio dello stesso Folman, il Bridgit Folman Film Gang, che presenta esiti altalenanti, dalle immagini molto vivide, quasi rappresentazioni di pop art, soprattutto nei racconti dei sogni e delle visioni, alla fissità e rigidità di certe scene di gruppo e di battaglia.
Folman ha il merito di far ricordare un evento indicibile, un massacro cui l’esercito israeliano non partecipò ma a cui assistette, e lo fa con l’animazione, quasi a dirci che la guerra e l’orrore sono irrappresentabili. Possono forse "passare" solo attraverso il filtro di disegni animati.
Tutte le testimonianze riportate sono reali, sono i ricordi raccolti da Folman. Ciò che colpisce è il ricorrente "trucco" mentale di attaccarsi ad immagini simboliche, come l’acqua del mare e la sensazione, da parte di tutti i testimoni, che si stesse vivendo in una dimensione parallela, da viaggio lisergico, come racconta uno degli amici del regista, con momenti paragonabili a gite di gruppo, con canti e musiche, cui segue lo strazio delle uccisioni.
Folman indugia forse troppo nelle spiegazioni psicologiche, che rallentano la tensione, risultando a tratti fastidiosamente pedagogiche.
Il titolo del film si riferisce alla folle danza, con mitra, di un soldato, che spara all’impazzata, sotto il ritratto gigante di Bashir Gemayel, il politico libanese ucciso in un attentato prima dell’investitura a Presidente della Repubblica.

Giulia Baldacci

 


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